Officine per Nuove Terre

Officine per Nuove Terre

Centro Clinico “La Seconda Nascita” in ricordo di A.B. Ferrari

Spazio di Ascolto, Ricerca e Cura
Responsabile e Direttrice – Prof.ssa Rita Inglese

 



Officine per Nuove Terre è uno Spazio Clinico ed al contempo un contenitore in cui ospitare e dare vita alle diverse forme della cura e del curare: – è uno spazio di incontro e confronto tra professionisti diversi, declinato attraverso conferenze, giornate di studio aperte a tutti, seminari a tema nella linea di una formazione continua; – è uno spazio di cura in cui psicoterapeuti, psicologi e medici mettono a disposizione il loro tempo e le loro competenze pro bono e a costi sociali; – è uno spazio di ricerca e di raccolta dati, un osservatorio sulla città capace di cogliere e decriptare le novità di un complesso presente, di cui vediamo tracce nei nuovi sintomi, nei nuovi modi della sofferenza che i nostri giovani ci portano.

Lo Spazio Clinico è istituito in memoria dello psicoanalista dell’età evolutiva Armando B. Ferrari, del quale il gruppo celebra l’impegno e la passione proprio per l’adolescenza, età da lui tanto amata. Il suo nome “La seconda nascita” si ispira ad un suo fondamentale insegnamento: l’adolescenza è un venire al mondo, è nascere una seconda volta.

Dunque è una seconda sfida e una seconda nascita. In questo Spazio Clinico, l’ascolto e l’analisi della domanda, quando diverranno domanda di aiuto, si tradurranno in una risposta che prenderà la forma di cicli di consulenze o di psicoterapia, individuali o di gruppo, erogati pro bono e a costo sociale.

Il Gruppo di Lavoro è composto da psicoterapeuti esperti che opereranno anche in rete. All’équipe iniziale si vanno unendo altri colleghi interessati ad un lavoro pro bono, professionisti legati da una teoria ed un modello comune.

Perché?

Un grido di dolore giunge dai nostri preadolescenti e adolescenti: boom di accessi di minorenni nei Pronto soccorso per motivi neuropsichiatrici; aumento della sofferenza psicologica e delle patologie legate all’identità sessuale ed ai disturbi alimentari. Proprio ieri, su questo ultimo tema, la pubblicazione di un libro sulla fame di affetto ha conquistato le pagine culturali di importanti quotidiani. Viviamo in un tempo traumatico o post-traumatico. La lotta contro il virus, che ha radicalmente cambiato le geografie del sociale, ancora ci impegna, ci turba, ci costringe a irreggimentare gli incontri, a temere i contagi, a fare posto alla malattia e alla morte, alla pratica del distanziamento e, a volte, ancora della chiusura. A valle di tutto questo movimento, si registra da più parti, nelle diverse unità territoriali regionali, un incremento di sofferenza mentale negli adolescenti. Il loro è un grido, un grido di aiuto spesso emesso senza voce, muto e dunque ancor più angoscioso da ascoltare, un grido che viene raccolto, ove possibile, nelle prime strutture territoriali, nei pronto soccorso e unità operative di neuropsichiatria infanzia e adolescenza. I sintomi più comuni registrati sono: ideazioni suicidarie, depressione, disturbi delle condotte alimentari, attacchi di panico, dipendenze da alcol, sostanze e internet. I nostri ragazzi, i nostri giovani testimoniano di attraversare un tempo di profondo smarrimento, un tempo di assenza di senso, di vuoto. Ma è anche nostro questo smarrimento. Come adulti, dentro le nostre vite, ci sperimentiamo smarriti e vuoti di parole, più chiusi ed egoisti, anche noi alla ricerca di un senso, dentro uno spazio sociale frammentato, traumatizzati e, molto spesso, soli e rassegnati. Li osserviamo, i nostri ragazzi, forse finalmente potendo -come in uno specchio- osservarci: denudati delle nostre certezze e interpretazioni del mondo, angosciati dal contagio, dalla malattia e dalla morte, turbati dalla guerra tra Russia e Ucraina, più reattivi e aggressivi, smarriti di fronte ad un disastro climatico senza precedenti. Nell’anatomia di questo articolato e traumatizzante presente, i preadolescenti e gli adolescenti si immergono nel e fanno esperienza del loro tempo della metamorfosi: sono attraversati e urticati da un dolore di vivere che assume modi e forme dirompenti, poiché ha oggi la potenza di uno tsunami. Il loro periglioso andare verso il mondo, questo attraversamento, questo rito di passaggio ancestrale e ineludibile, prende forma e vorrebbe compiersi senza “farsi”: nel chiuso, nel ritiro, nel rifiuto, nell’immobilità, dentro un’esperienza di claustro-filia, come A. B. Ferrari indica. In questo luogo protetto e distante, che a volte è il silenzio dell’anima, in altre la prigionia della casa, guidati da una pulsione securitaria, come scrive Recalcati, essi consentono al mondo di entrare come parvenza, come parvenza di sogno: attraverso un video, una traccia scritta, fotografie, immagini, frammenti, chat, poche voci e “in differita”.

Modi e Forme

Come intercettare, contenere e dare significato a questo grido di sofferenza?

Innanzitutto disponendoci ad incontrare, ad ascoltare, a dialogare.
Il nuovo mondo che abitiamo – post pandemia, dentro il clima di guerra, nella crisi climatica ed energetica – si disvela un po’ alla volta nelle trasformazioni che ha generato e che sta generando, trasformazioni che si intrecciano e che catalizzano movimenti e tensioni preesistenti e sottotraccia. Istituire luoghi di incontro – OFFICINE, laboratori di ascolto, confronto e raccolta dati – sembra essere un primo buon passo: istituire spazi in cui praticare l’appartenenza ad una comunità, spazi relazionali in cui, anche professionisti diversi (psicologi, psicoterapeuti, psicoanalisti, insegnanti, operatori della salute, antropologi, filosofi, scrittori, poeti, giornalisti, medici, psichiatri, neuropsichiatri, politici, etc.) possano stabilire contatti sia con i ragazzi, i giovani, i loro genitori e le loro famiglie, che tra di loro come team di operatori, per incontrare, intercettare, pensare la sofferenza e le risorse, i limiti e la resilienza di questi tempi complessi da abitare.
L’idea è quella di effettuare, per questa via, una raccolta dati/ banca dati per farne una guida, una base, un canovaccio a partire dai quali articolare ipotesi, letture della complessità, teorie, metodologie, progetti, traiettorie di cura.
Proviamo a partire, quindi, dal concetto di spazio, spazio personale, relazionale, sociale che in questi anni di pandemia si è all’improvviso ridotto, disarticolato, frantumato, modificato, ammalato.

Il secondo passo è mettere a tema e a frutto quanto i percorsi di studio e approfondimento ci hanno già offerto, potendo appoggiarci sugli studi, le ricerche, il lavoro svolto in tutti questi anni. In questa direzione, possiamo indicare – come psicologi, psicoterapeuti e psicoanalisti – le teorie di W.R. Bion, di A.B. Ferrari, di M. Recalcati (per citarne alcune).
In particolare, rimanendo sul tema dello spazio, personale, familiare, relazionale, sociale, gruppale (e solo per avviare una breve condivisione), lo psicoanalista Armando B. Ferrari, un appassionato studioso dell’adolescente, già negli anni ottanta del Novecento ci offriva interessanti riflessioni proprio intorno al tema dello “spazio” nel vissuto adolescenziale, disponendosi a pensarlo come dimensione principale attraverso cui avvicinare l’esperienza dolorosa e inesprimibile dell’adolescente: uno spazio vitale da intendersi non come vuoto, ma come informe; uno spazio in cui il fare e l’esistere si intrecciano, dentro al tempo, potendo così dare fondamento all’esistenza: il vuoto sperimentato così angosciosamente dall’adolescente, accolto e pensato, consente di intercettare, raffigurare e immaginare “ciò che ancora non si possiede”, di bordare e dinamizzare un’area di desiderio di cui non si conoscono i contorni, i margini, gli orli, i confini, la materia, l’essenza.

Eppure è lì, in quello spazio, in quello spazio vitale, in quel “vuoto” informe che bisogna sostare, entrare, rischiando di precipitarvi, di frammentarsi, di perdersi, di scomparire per sempre. E’ lì che bisogna cercare un senso, il proprio personale senso, una risposta che risveglia la vita, che fa esistere, che fa l’esistere.
E sui labili confini di questo spazio/terra, su questo bordo, tra bordare e debordare, si apre la possibilità di articolare esperienze/pensieri/parole per il proprio e per l’estraneo, dentro e intorno ad una linea di confine sempre/spesso cedevole, mutevole: stare, abitare, r-esistere su questa angosciosa frontiera significa rendere possibile la vita, significa dare corpo al terreno della propria esistenza, compiendo un atto fondativo: una fondazione che si va facendo attraverso la percezione, acuta e sottile, di questo stesso esistere, frastagliato e in continuo movimento, di sé sul confine.

Articolazione del progetto

Una finestra aperta sulla ricerca.

Mantenendo una visione unitaria e prospettica di indagine, comprensione e riscrittura delle sofferenze dei ragazzi e degli adolescenti, il nostro intento è quello di raccogliere, mentre, operiamo, dati che ci guideranno nell’analisi e nell’intervento con i giovani. Come scrive il dott. A. Isidori, autore di una interessante ricerca su “Le culture giovanili- L’esperienza del futuro nella società contemporanea. Ricerca sugli universi simbolici e le rappresentazioni del futuro dei giovani del II Munipicipio di Roma”:
E’ necessario ricomporre (anche dopo il Covid) la frammentazione delle solitudini individuali in progetti comuni, in spazi pubblici che valorizzino i legami sociali di solidarietà” Spazi, possiamo aggiungere, che aiutino a contenere fenomeni di de-temporalizzazione e presentismo, di ripiegamento su se stessi attraverso un’apertura all’incontro con l’altro, simile e diverso. La fruizione di spazi personali e di gruppo, potrà consentire di avvicinare la propria complessità, soggettiva e caratterizzante “in fieri”, superando ansie e timori, potendo così incontrare la complessità del mondo esterno, confrontandosi e condividendo risorse semiotiche.

In questa direzione, come già descritto, vorremmo avviare, collaborando con altra Associazione del territorio del II Municipio, un protocollo di ricerca.